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pietro.muniSpettatore
Grazie a te, Leo.
Rimango convinto che, se ben implementato, il confederalismo sia il mezzo migliore per l’affermazione della democrazia partecipativa nei grandi Stati e perfino a livello mondiale.
I principali ostacoli all’affermazione della democrazia vengono dalle eccessive disuguaglianze sociali e da fattori culturali, in particolare dalla convinzioe che non si possa fare a meno dei capi. Penso al gruppo aperto di recente da Giannantonio Zanolli (“1000 italiani per salvare l’Italia”), che si basa proprio sul concetto che i capi dovrebbero essere scelti dagli stessi cittadini, anziché dai partiti. Conosci questo gruppo?
La strada è ancora lunga.
Buona giornata
Pietro
4 Aprile 2021 alle 10:25 in risposta a: Estendere il potere legislativo ai cittadini mediante revisione art.70 cost. #5304 Score: 0pietro.muniSpettatoreCaro Nicola
Sul Ref. del 1993
Il referendum dell’aprile 1993 chiamava i cittadini ad esprimersi a proposito del finanziamento pubblico dei partiti. L’esito fu clamoroso: oltre il 90 per cento dei votanti, ossia più di 31 milioni di elettori, si dichiararono contrari al finanziamento pubblico. La particolarità di questa consultazione referendaria è che i politici trovarono il modo di disattendere la volontà degli elettori, semplicemente sostituendo il termine «finanziamento» con «rimborso» e, con questo stratagemma, già a partire dalla legge 515 del dicembre 1993, hanno continuato a finanziare i partiti con denaro pubblico in un crescendo di erogazioni (Bordon 2008: 80-3). La lezione è chiara: il popolo può pensarla come crede, ma in Italia il potere sovrano è saldamente in mano di pochi leader di partito e spetta a loro il diritto di pronunciare l’ultima parola. Insomma, il vero sovrano è il parlamento, non il popolo.
Sul referendum in generale
La nostra Costituzione prevede solo tre tipi di referendum: abrogativo ad iniziativa popolare (art. 75), costituzionale (art. 138) e per la modificazione territoriale delle regioni (art. 132). Di questi solo il primo avrebbe i caratteri dell’istituto ordinario e di frequente impiego, se non fosse per l’esistenza di fattori limitanti, quali la raccolta di un numero esorbitante di firme, il filtro della Consulta e il quorum al 50% degli aventi diritto. Il fatto è che, nelle intenzioni dei padri costituenti, il referendum aveva un significato solo simbolico, una sorta di concessione dovuta al popolo, affinché fosse chiaro che la nascente Repubblica era una vera democrazia. In altri termini, l’istituto referendario fu introdotto più per una questione d’immagine che per intima convinzione. Nessuno pensava infatti ad una sua applicazione pratica e meno che mai ordinaria e frequente, tanto è vero che, dopo il referendum istituzionale del 1946, per quasi trent’anni non si sentì più il bisogno di farvi ricorso. “In Italia, così come nelle democrazie in genere, l’istituto referendario non ha mai goduto di buona fama né tra la maggioranza dei politici e dei partiti né tra la maggioranza degli accademici” (Uleri 1994: 422). Ancora oggi i più ritengono che si tratti di una pratica inutile, che pone il cittadino di fronte a quesiti su cui non ha competenza e che si presta a strumentalizzazioni demagogiche.
Questioni aperte
Quando si dice che il referendum è uno strumento decisionale popolare, biognerebbe ricordarsi di specificare chi sono i veri protagonisti. Popolo è termine troppo generico per avere un significato preciso.
Significato di democrazia
Spesso si confondono le libertà introdotte in Europa a partire dal Seicento, con la democrazia, ma si tratta di due cose diverse. La democrazia implica la partecipazione dei cittadini all’attività legislativa. Se il popolo è escluso da questa partecipazione, come è il caso dell’Italia, non si può parlare di democrazia.
In Italia, il potere legislativo è esercitato esclusivamente dalla Camere (art. 70). Sarebbe opportuno estendere la partecipazione anche al popolo. Se il popolo avesse il potere legislativo non avrebbe alcun bisogno di complicati e costosi referendum. Per il momento però il popolo non sembra avvertire questa esigenza, e questa mi sembra la principale ragione che si oppone alla revisione dei detto articolo come da me proposta,
I punti migliori dei 27 punti di “FARE il cambiamento”
I punti che considero migliori sono queli che si muovno in direzione della partecipazione popolare all’attività legislativa, cioè della democrazia. In particolare:
Federalismo
Informazione libera
Educazione civica
Implementazione di strumenti di democrazia partecipata
LIP
Assemblee dei cittadini
Per potere funzionare però, questi punti richiederebbero intanto la coscienza che non siamo in democrazia e poi anche il potere decisionale. Al momento non abbiamo né l’una né l’altro.
I punti che mi piacciono di meno
Il punto che mi piace meno di tutti è quello che propone il Quorum Zero, il quale denota la scarsa considerazione in cui è tenuto il popolo. Il Quorum, infatti, indica la quantità di popolo necessaria perché si possa approvare una legge. Più alto è il quorum, più c’è democrazia. Nell’antica Atene avevano un quorum altissimo (intorno al 12%). Oggi questo valore sarebbe improponibile, ma potrebbe già bastare un quorum compreso tra l’1 e il 5%. Il quorum zero sarebbe da rigettare.
Non so se ho risposto alle tue domande.
Ciao
Pietro
3 Aprile 2021 alle 9:19 in risposta a: Estendere il potere legislativo ai cittadini mediante revisione art.70 cost. #5289 Score: 0pietro.muniSpettatoreCaro Nicola
Intanto ti ringrazio per le tue domande. Ecco le mie risposte.
Mi rifersco al ref. sul finanziamento pubblico dei partiti (1993). Il popolo si espresse per il no, ma poi i partiti trovarono il modo di aggirare la volontà popolare.
Modificare l’art. 70 comporterebbe mettere il popolo sullo stesso piano del parlamento, anzi su un piano di superiorità, perché, fino a prova contraria sovrano è il popolo e non il parlamento.
Secondo me, il popolo dovrebbe poter legiferare allo stesso modo del parlamento, quindi senza raccogliere firme. Ovviamente bisognerebbe mettersi d’accordo su un quorum di partecipazione, che dovrebbe essere basso (io propongo 1-5%), MAI zero!
Dubito che la sola modifica dell’art. 70 possa portare a cambiamenti concreti, perché ci sono anche altri fattori che impediscono al popolo di esercitare il potere legislativo, ma avrebbe almeno il vantaggio di richiamare l’attenzione su questo delicato problema.
Se volessimo fare un cambiamento come si deve, dovremmo avere più coraggio e riscrivere la Costituzione con la partecipazione del popolo. A giorni presenterò una mia proposta al riguardo, che è basata sui seguenti punti:
1. Istituzione della Comunità Locale Sovrana come unità politica di base.
2. Trasformazione dell’Italia in una Confederazione di Comunità Locale Sovrane.
3. Possibilità di presentare proposte di legge anche da parte di un solo cittadino.
4. Possibilità di funzionare senza partiti, senza rappresentanti con delega in bianco, senza elezioni, senza referendum e senza raccolta di firme.
Spero di averti risposto
Ciao
Pietro
29 Marzo 2021 alle 9:14 in risposta a: Estendere il potere legislativo ai cittadini mediante revisione art.70 cost. #5276 Score: 0pietro.muniSpettatoreCaro Leo
È del tutto evidente che sullo strumento referendario abbiamo idee diverse. Tu ci vedi il massimo della democrazia, io invece ci vedo un mezzo di cui si servono i poteri forti (i partiti, il parlamento, la chiesa, le grandi organizzazioni, le lobby) al fine di mantenere saldo il loro potere. L’argomento meriterebbe una trattazione ampia e profonda, ma non mi sembra questa la sede più adatta. Mi limito ad alcune affermazioni schematiche con preghiera di segnalarmi se e dove sbaglio.
Il ref. è una procedura molto complessa e dispendiosa, sicuramente non alla portata del singolo cittadino e nemmeno di piccoli gruppi di cittadini, e attivabile solo dai grandi centri di potere.
Fra tutti i grandi centri di potere in grado di avviare e gestire una procedura referendaria spicca il Parlamento.
Il Parlamento può intervenire in tutte le fasi del processo referendario, favorendolo o bloccandolo.
Tutti i ref. celebrati fino ad oggi hanno potuto avere corso perché il Parlamento aveva una qualche ragione per non opporsi.
In alcuni casi, il Parlamento sapeva di correre qualche rischio, ma ha ritenuto di poterlo accettare, ben sapendo comunque che avrebbe potuto aggirare la volontà popolare in un secondo momento, cosa che ha fatto nel 1993.
In tutti gli iter referendari il Parlamento ha il diritto di prima parola e di ultima, e per ultima mi riferisco alla legge attuativa della volontà popolare.
Il popolo non prende mai l’iniziativa, ma è sempre manovrato, esprime la sua volontà perché qualcuno gliela chiede, non per sua libera scelta.
Anche quando il popolo può esprimere la sua volontà, le leggi attuative sono fatte dal Parlamento e non dal popolo, e il Parlamento le può sempre modificare, il popolo no.
Il ref. non si addice al sovrano. Nessun sovrano delibera per via referendaria. Il Parlamento non delibera per via referendaria.
Il ref. è solo uno specchietto per le allodole, una maschera che il sistema indossa per darsi un aspetto democratico, ma, di fatto, non è poi così diverso dal plebiscito.
28 Marzo 2021 alle 10:48 in risposta a: Estendere il potere legislativo ai cittadini mediante revisione art.70 cost. #5268 Score: 0pietro.muniSpettatoreSul potere politico
È noto a tutti che la ricchezza è legata al potere. Ce lo dice la storia e lo confermano i fatti a noi contemporanei: c’è un connubio indissolubile tra proprietà e potere, nel senso che il denaro può essere usato per acquistare proprietà e la proprietà può essere usata per acquisire ricchezza. “Oggi i ricchi dettano sempre più l’agenda politica” (Volpato 2019: 216). Ma da dove deriva questo loro potere? “La risposta è abbastanza chiara: attraverso il finanziamento dei partiti politici e delle campagne elettorali” (Milanovic 2020: 65). Basti pensare che, negli Stati Uniti, “nel 2016, l’1 per cento dei più ricchi dell’1 per cento più ricco (e non è un errore di battitura) ha contribuito per il 40 per cento delle donazioni totali della campagna elettorale” (Milanovic 2020: 65). “Il fatto è che nessuno spende il proprio denaro senza aspettarsi di ricevere qualcosa in cambio” (Milanovic 2020: 66).
“In America come in Europa, i ricchi finanziano le campagne elettorali di questi politici, i quali, una volta eletti, restituiscono il favore con leggi che favoriscono un loro ulteriore arricchimento” (De Masi 2017: 103). Un esempio per tutti: le imposte di successione. “Negli Stati Uniti la quota esente era di 675.000 dollari nel 2001, ma è stata portata a 5,49 milioni di dollari nel 2017 (22 milioni di dollari per una coppia sposata)” (Milanovic 2020: 56). Insomma, i ricchi sono in grado di indurre gli organi legislativi a legiferare in proprio favore: “imposte più leggere sui redditi elevati, maggiori detrazioni fiscali, plusvalenze più consistenti grazie ai tagli fiscali a favore delle imprese, meno regole, e così via” (Milanovic 2020: 67). “Più la disuguaglianza aumenta e la ricchezza si concentra in poche mani, più i privilegiati hanno potere politico, cosa che consente loro di difendere i propri interessi” (Volpato 2019: 215).
Il predominio della finanza sulla politica è denunciato da Luigi Ferrajoli con queste parole: “oggi non è più la politica che governa l’economia imponendo regole, limiti e controlli alle attività finanziarie, ma sono i poteri dell’economia e della finanza che dettano ai governi politiche antisociali a sostegno dei loro interessi. Non sono più i governi che garantiscono la concorrenza tra le imprese, ma sono le imprese che mettono in concorrenza gli Stati, privilegiando per i loro investimenti i paesi nei quali è più facile sfruttare il lavoro, inquinare l’ambiente, evadere o ridurre le imposte e corrompere i governi” (2018: 76).
Ebbene, trovo oltremodo ingenuo pretendere che i ricchi facciano per i cittadini quello che gli stessi cittadini potrebbero fare autonomamente, se ne avessero il potere, ma non sono disposti a fare. Infatti, non chiedono il potere di fare. Da qui la mia proposta di modificare l’art. 70.
Concludo affermando che, per noi cittadini, è di capitale importanza lottare per il potere politico. Per una semplice ragione: se non facciamo nulla per entrare nella stanza del potere, questo continuerà ad essere esercitato dai più ricchi a loro vantaggio e contro di noi.
Bibliografia
De Masi D., Lavorare gratis, lavorare tutti. Perché il futuro è dei disoccupati, Rizzoli, Milano 2017.
Ferrajoli L., Manifesto per l’uguaglianza, Laterza, Roma-Bari 2018.
Milanovic B., Capitalismo contro capitalismo, Laterza, Bari-Roma 2020 [2019].
Volpato C., Le radici psicologiche della disuguaglianza, Laterza, Roma-Bari 2019.
28 Marzo 2021 alle 10:40 in risposta a: Estendere il potere legislativo ai cittadini mediante revisione art.70 cost. #5267 Score: 0pietro.muniSpettatoreCaro Leo
Trovo ottima la sintesi che hai fatto nel tuo ultimo commento.
Mi rimane qualche dubbio sulla seguente tua affermazione:
La votazione popolare a seguito di una referendum abrogativo ( o anche di ratifica) ha potere legislativo.Potrei sbagliare, ma a me risulta che, anche dopo le consultazioni referendarie, l’utima parola spetta sempre al Parlamento. Lo dimostra il referendum sul finanziamento pubblico dei partiti del 1993. Per quanto ne so, il popolo non ha alcun potere legislativo. È sovrano solo di nome!
pietro.muniSpettatoreCari amici
Trovo valide le idee da voi espresse sul federalismo. Che dire di più? Vi inviterei a riflettere sulla distinzione tra federalismo e confederalismo e sulla opportunità che questi due modelli ci offrono di superare la democrazia rappresentativa a favore della democrazia partecipativa di tipo assembleare, in grado di finzionare senza partiti, anche a livello mondiale.
Federalismo
In senso politico, il termine federalismo (dal latino foedus: patto, contratto, alleanza) indica un «contratto» fra Stati sovrani, che rinunciano ad una parte della propria sovranità e si associano in modo da formare un unico organismo politico, allo scopo, dichiarato o meno, di incrementare la propria forza e garantirsi condizioni di pace interna e favorevoli opportunità in campo economico, ma anche per far sì che i diritti dei cittadini siano rispettati nei singoli Stati. Secondo Montesquieu, la federazione consentirebbe di sommare i vantaggi della repubblica con quelli della monarchia, ovverosia i vantaggi di uno Stato di diritto con quello di uno Stato grande e forte. “Composta di piccole repubbliche, essa [la Federazione] gode della bontà del governo interno di ciascuna; rispetto all’esterno poi, possiede, grazie alla forza dell’associazione, tutti i vantaggi delle grandi monarchie” (Lo spirito delle leggi, IX,1).Confederalismo
A differenza della federazione, nella confederazione i singoli Stati membri rimangono pienamente sovrani. La partecipazione di uno Stato alla confederazione è volontaria e revocabile e nessuno può interferire negli affari interni di un altro Stato. “Neppure in casi eclatanti di violazione di diritti umani fondamentali, come nel caso di genocidio, la confederazione ha facoltà di intervenire negli affari interni di uno Stato. I diritti degli individui non trovano altra protezione in una confederazione che non quella accordata loro dai singoli Stati” (Archibugi, Beetham, 1998: 92-3). Gli Stati confederati si uniscono solo su base volontaria, a seconda della circostanza, per esempio per difendersi da un nemico comune, e in condizioni di uguaglianza, sancita dal principio «uno Stato, un voto».Federalismo e confederalismo
Consentendo la parcellizzazione dei grandi Stati in tante piccole comunità locali, il federalismo e (ancora di più) il confederalismo possono essere visti non solo come formidabili fattori di coesione sociale, ma anche come condizioni favorenti la democrazia partecipativa assembleare, sia a livello locale sia a livello planetario (globalizzazione).Bibliografia
Archibugi D., Beetham D., Diritti umani e democrazia cosmopolitica, Feltrinelli, Milano 1998.Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 2 voll., Utet, Torino 1996.
- Questa risposta è stata modificata 3 anni, 8 mesi fa da pietro.muni.
28 Marzo 2021 alle 10:06 in risposta a: Informazione libera ed indipendente come servizio pubblico #5263 Score: 0pietro.muniSpettatoreL’informazione com’è
Oggi l’informazione è decisa dall’alto e obbedisce alle leggi di mercato. I cittadini possono solo scegliere fra questa o quella notizia offerta dal mercato, ma non possono in alcun modo decidere cosa vogliono sapere. Non solo i cittadini non decidono, ma si trovano anche a doversi districare fra una quantità impressionante di informazioni di ogni genere e colore, spesso senza disporre di un’adeguata capacità di discernimento. Alla fine, senza questa capacità, l’informazione si riduce a mero strumento di potere e il cittadino diventa facilmente manipolabile.L’informazione come dovrebbe essere
Un buon servizio di informazione dovrebbe svolgersi prevalentemente su domanda e avvalersi di una rete di sportelli o centri di assistenza all’informazione dislocati in tutti i comuni, dove ogni cittadino dovrebbe poter portare e ricevere ogni genere di informazione di suo interesse.Il servizio dovrebbe essere finanziato in parte con denaro pubblico in parte col denaro che gli utenti versano secondo l’uso che ne fanno (come già avviene per il gas o l’energia elettrica) oppure con una tassa forfettaria, come già avviene per il canone tv. Dovrebbe essere vietata ogni forma di finanziamento privato.
I vari sportelli dovrebbero accogliere informazioni provenienti da qualunque cittadino disposto ad assumersi la responsabilità di quanto afferma.
I giornalisti di professione dovrebbero limitarsi a svolgere funzioni accessorie, come quella di raccogliere, catalogare e archiviare le informazioni che vengono dai cittadini, per poi redistribuirle secondo domanda, oppure quella di selezionare le informazioni dei cittadini di interesse più generale e pubblicarle sui media col nome dei cittadini estensori, insieme ai rimandi per eventuali approfondimenti, venendo così a configurare un servizio informativo di base.
Ai direttori dei vari organi di informazione si dovrebbe affidare unicamente il compito di amministrare le risorse economiche e umane del proprio mezzo e vigilare sul rispetto della deontologia professionale e delle leggi vigenti.
Supponiamo adesso che un cittadino voglia avere informazioni sull’andamento dell’indice di povertà nel proprio comune negli ultimi dieci anni. Potrebbe farlo in due modi: a) entrare nel sito del servizio e fare da sé la ricerca; b) rivolgersi direttamente al consulente del centro per l’informazione del proprio comune, che potrebbe rispondergli in diversi modi. In caso di risposte ritenute insoddisfacenti, il cittadino potrebbe reiterare la stessa richiesta ad altri centri e ad altri consulenti.
Si potrebbero anche raccogliere in un grande archivio, ad accesso libero per parole chiave, tutte le domande poste dai cittadini con le relative risposte.
Procedendo in questo modo, i cittadini imparerebbero a gestire l’informazione in modo autonomo e critico, sia in entrata che in uscita, e questo non solo li aiuterebbe a prendere decisioni ragionate e responsabili, sia nella propria sfera privata che in ambito pubblico, ma renderebbe anche l’intero sistema sociale e politico più trasparente, serio e funzionale.
- Questa risposta è stata modificata 3 anni, 8 mesi fa da pietro.muni.
1 Marzo 2021 alle 13:58 in risposta a: Informazione libera ed indipendente come servizio pubblico #4977 Score: 0pietro.muniSpettatore<p style=”text-align: center;”>Informazione come servizio pubblico</p>
<p style=”text-align: center;”>(Mia sintetica opinione sul tema, in aggiunga al testo di base, che condivido)</p>
La Repubblica riconosca quanto segue:- L’informazione è di tutti e per tutti.
- Il servizio di informazione deve essere trasparente e aperto a tutti.
- I cittadini devono esserne contemporaneamente produttori, fruitori e finanziatori.
- Tutti i cittadini debbono avere diritto di accesso alla rete Internet, in condizioni di parità.
- Ogni Comunità deve erogare gratuitamente un servizio d’informazione su fatti di pubblico interesse.
- Ogni cittadino può richiedere, a pagamento, presso il proprio comune, qualunque altro tipo di informazione, anche a titolo di esclusivo interesse privato.
Ogni Comunità locale dovrebbe essere dotata di un proprio Centro per l’informazione svolgente le seguenti funzioni:
- raccogliere e ordinare le informazioni che provengono dai cittadini;
- erogare un servizio di informazione di base gratuito e aperto a tutti;
- fornire un servizio supplementare di informazione a pagamento, su richiesta di chiunque e su qualsiasi tema, purché lecito;
- controllare l’attendibilità delle informazioni, da chiunque vengano diffuse;
- comminare sanzioni a chiunque propali informazioni false o infondate;
- assistere ed educare i cittadini nella gestione dell’informazione.
pietro.muniSpettatoreCaro Leo
Rispondo volentieri agli interessanti quesiti che poni.
occorre FORZARE sovrani ( nel nostro caso i partiti) a introdurre quelle modifiche che , una dopo l’altra, toglieranno loro il potere.
Sarebbe come pretendere che i partiti si suicidassero con le loro stesse mani! Perché mai dovrebbero farlo? A me risulta difficile crederlo.
Capisco che ai tuoi occhi questo “forzare” appare come una “accettazione” della loro esistenza , ma ti faccio presente che e’ solo un “tenere conto della realta’ esistente ” in modo di poterla trasformare.
Se la realtà esistente non ci piace, possiamo fare tante cose. Per esempio, progettarne una migliore. Ma c’è una cosa che dovremmo assolutamente evitare: alimentarla. È quello che facciamo quando votiamo i partiti e quando li riconosciamo referenti delle nostre richieste. Così facendo, i partiti escono rafforzati, non indeboliti. Se proprio volessimo chiedere qualcosa ai partiti, io mi limiterei a chiedere una cosa sola: che estendano il potere decisionale al popolo mediante revisione dell’art. 70. A questo punto, dovrebbero gettare la maschera. Rispondendo no, infatti, si capirebbe che essi sono contro il popolo. Rispondendo si, invece, si suiciderebbero, perché, a quel punto, il popolo potrebbe decidere qualsiasi cosa senza doverla chiedere ad alcuno.
”la democrazia si pratica a partire dalla propria comunità municipale. La legge esiste già (legge 267/2000 art. 8). Non dovremmo fare altro che applicarla.” Mi dici come pensi di fare in modo che ”la si applichi”?
Già! Perché spesso non applichiamo leggi esistenti o diritti riconosciuti? Questa è la vera nota dolente. È una nota dolente perché la risposta più logica è che i cittadini non sono interessati. Questo dimostra che la democrazia non può essere imposta con la legge. Da qui l’importanza dell’educazione civica. I cittadini devono essere educati alla democrazia.
non ho ancora capito cosa proponi tu, per esempio, per fare applicare le leggi esistenti
Propongo di educare i cittadini alla democrazia, anche attraverso lo studio della stessa. I cittadini devono capire che democrazia non significa scegliersi del capi col voto elettivo, ma assumendosi responsabilità decisionali col voto deliberativo. Finché essi rimarranno convinti che democrazia significa delegare, si rifiuteranno di praticarla in prima persona.
ti informo che vorremmo incontrarci per definire , anche se in modo sintetico i “punti di cambiamento”.
Possiamo incontrarsi anche fuori dal gruppo, in qualsiasi giorno, anche di mattina, se vi va bene. Ma, prima ancora di parlare dei singoli punti, proporrei di affrontare due temi preliminari.
Il primo è: posto che la democrazia si basa sulla sovranità popolare, perché essa stenta ad affermarsi nel mondo? Quali sono le cause che si oppongono all’effettivo esercizio della sovranità popolare?
Il secondo è: esiste un modo in cui, concretamente, i cittadini potrebbero esercitare la propria sovranità?
pietro.muniSpettatoreCaro Leo
Prendo atto che concordiamo su diversi punti.
Per esempio, questo: la democrazia si pratica a partire dalla propria comunità municipale. La legge esiste già (legge 267/2000 art. 8). Non dovremmo fare altro che applicarla.
Un passo avanti sarebbe quello di fare dell’Italia una Confederazione di Comunità Locali Sovrane, ma questo richiederebbe una modifica della Costituzione.
Altri punti di concordanza:
1) Inserire strumenti partecipativi negli statuti comunali
2) Informazione libera ed indipendente come servizio pubblico
3) Strumenti di formazione ai cittadini nei processi decisionali (Libretto informativo etc..)
La differenza è che, mentre tu ritieni che l’attuazione di questi punti dovremmo chiederla ai partiti, io invece penso che dovrebbe far parte di un potere diretto dei cittadini. Ad una condizione però: i cittadini devono dimostrare di essere capaci di esercitare un potere decisionale diretto.Il punto in cui discordiamo è quello relativo ai partiti. Per te, i partiti sono inamovibili. Perciò continui a votarli e a riconoscerli come legittimi organi di potere, ai quali ti rivolgi per ottenere delle cose. Io invece penso che essi traggono il loro potere dalla Costituzione e dal voto dei cittadini. Penso che, se i cittadini fossero disposti a modificare la Costituzione e dimostrassero di essere capaci di autogovernarsi, i partiti perderebbero ogni legittimità e capitolerebbero.
pietro.muniSpettatoreCaro Leo
Grazie della tua risposta. Se devo essere sincero, ti confesso che non ci speravo e comunque non mi aspettavo questa tua apertura al dialogo. Dico questo a tuo merito.
Preso atto che vogliamo entrambi la stessa cosa (il superamento dei partiti), rispondo volentieri alle tue domande.
DOMANDA N. 1
Come ottenere il cambiamento, se i partiti oggi detengono il monopolio del potere legislativo?
Il monopolio del potere legislativo dei partiti riconosce due cause:
- L’art. 70 della Costituzione.
- L’affluenza alle urne: più essa aumenta, più i partiti acquistano legittimazione e potere.
Ai fini di un cambiamento, due cose che potremmo fare sono:
- Chiedere ai partiti la modifica dell’art. 70 della Costituzione (ben sapendo che essi risponderanno picche).
- Smettere di votarli (ben sapendo che questo ancora non basta).
DOMANDA N. 2
Come convincere i partiti a cessare di detenere quel monopolio?
Per come la vedo io, il modo migliore per far capire ai partiti che il loro tempo è finito sarebbe quello di dimostrare che noi cittadini siamo pronti ad assumersi responsabilità di tipo politico. Concretamente dovremmo semplicemente fare le seguenti cose:
- Elaborare una procedura decisionale e metterla in atto in iniziative che sono alla nostra portata, inizialmente all’interno del nostro comune e avvalendoci della legge 267/2000. Se impariamo a decidere nelle piccole cose, acquistiamo fiducia nei nostri mezzi e possiamo applicare la stessa procedura anche nelle decisioni più importanti.
- Stendere un nuovo progetto politico fondato sulla Comunità Locale Sovrana e sul principio di confederazione, in modo tale che: a) ogni singolo cittadino possa presentare proposte di legge; b) i cittadini più competenti e interessati possano deliberare mediante la procedura decisionale di cui sopra.
DOMANDA N. 3
Come pensi si possa procedere per convincere i partiti a lasciare il posto ai cittadini?
Nel momento in cui noi cittadini prendiamo coscienza che siamo non solo capaci di autogovernarci, ma anche un progetto di autogoverno, i partiti non potranno fare altro che capitolare.
- Questa risposta è stata modificata 3 anni, 9 mesi fa da pietro.muni.
pietro.muniSpettatoreCaro Leo
Volentieri collaborerei con te, ma temo che parliamo lingue diverse e perseguiamo obiettivi diversi, anche se entrambi diciamo che perseguiamo la democrazia.
Il fatto è che abbiamo un’idea molto diversa di democrazia.
Per te democrazia è chiedere ai partiti di fare cose che essi non hanno interesse a fare. Per me è invece fare cose in autonomia. Io chiamo democrazia tutto ciò che dei cittadini riescono a fare senza passare per i partiti e per i centri di potere in generale.
Quando per la prima volta mi hai parlato delle cose che avevi in animo di fare (quelli che poi diventeranno i 27 punti), ho accettato con entusiasmo la tua idea di “pesare” le cose da fare con un metodo chiaro e semplice, così da poterle classificare secondo un criterio di priorità, perché pensavo che quelle cose avremmo dovuto farle noi. Poi invece ho capito che quei punti sono destinati ai partiti. Non dobbiamo attuarli noi, ma i partiti.
Vedi Leo, forse non ne hai una piena coscienza, ma, visto dall’esterno, il tuo comportamento sembra tutt’altro che democratico. Infatti:
1) Riconosci il partito come organo decisore e non il popolo.
2) Al popolo attribuisci solo una funzione di gruppo di pressione (lobby).
3) Non ti chiedi che cosa possono fare i cittadini in autonomia, ma cosa essi possono chiedere ai partiti di fare.
4) Non hai mai contestato il fatto che i cittadini siano esclusi dalla nostra Costituzione da ogni potere decisionale e costretti a farsi rappresentare. Evidentemente non trovi nulla di strano nel fatto che un sovrano non possa decidere senza passare da un organo di rappresentanza: il partito.
5) Per te l’informazione non serve ai cittadini per prendere buone decisioni (voto deliberativo, proprio del sovrano), ma per presentare ai partiti buone richieste.
6) Non sembri particolarmente interessato a elaborare modelli politici in grado di funzionare senza partiti.
7) Mostri invece uno spiccato interesse per i vari strumenti di DD (referendum, petizioni, ecc.), che richiedono procedure complesse (per es. raccolta firme), che non sono alla portata del singolo cittadino, ma solo dei partiti o di altre grandi organizzazioni e centri di potere.
8) Al centro del tuo pensiero c’è il partito, non il popolo.
9) Lo dimostra il fatto che tutte le volte che ho parlato di sovranità popolare effettiva, mi hai accusato di scambiare la democrazia per una religione.
10) Rifiuti di capire che non c’è democrazia senza popolo. Il “quorum zero”, di cui sei sostenitore, ne è una prova.
Tutto questo per dire che siamo troppo diversi per poter collaborare efficacemente a un progetto comune. Contrariamente a te, io mi pongo in antitesi nei confronti dei partiti e sono interessato ad ogni tipo di iniziativa che abbia come protagonisti unici (o principali) i cittadini, ma soprattutto sono interessato allo studio di un nuovo modello politico capace di funzionare anche senza partiti.
P.S. Forse sono stato troppo duro, ma preferisco essere franco piuttosto che alimentare false illusioni.
pietro.muniSpettatoreCOME SI ARRIVA A DIVIDERE il paese in 5000 Comunità Locali Sovrane di 10 mila abitanti cadauna?
Caro Leo, ti ringrazio molto per questa domanda.
In realtà, il paese è già suddiviso in comuni e circoscrizioni e dispone già di una legge sugli Enti locali (la legge n. 267 del 2000) , che, all’art. 8, prevede il coinvolgimento dei cittadini. Basterebbe semplicemente applicarla.
Vedi, caro Leo, in più occasioni hai menzionato il mancato sostegno dei cittadini alla proposta di “Legge di iniziativa popolare a voto popolare” presentata da Fraccaro. Lo stesso potrei dire io a proposito della legge n. 267 del 2000.
Ebbene, perché i cittadini rifiutano queste opportunità di esercitare il potere decisionale? Ecco la mia risposta. I cittadini non hanno mai esercitato questo potere. Non sanno nemmeno cosa significhi. L’esercizio del potere non fa parte della loro cultura. Forse hanno anche paura. Fare une legge che consenta ai cittadini di esercitare il potere decisionale è come pretendere di far andare in bici uno che non ci è mai andato! Si impara ad andare in bici, andandoci, non perché lo stabilisce una legge,
Anche la democrazia si impara praticandola, e questo non dipende dalla legge, ma dalla nostra volontà. Nessuno ci impedisce di esercitarsi a praticare la democrazia. Si tratta, in definitiva, di imparare a usare un metodo di confronto e una procedura deliberativa, ovviamente limitatamente a cose che sono alla nostra portata. Una volta imparato il metodo, potremmo poi applicarlo in politica. Ma finché continuiamo a votare i partiti e farne i nostri referenti, il traguardo della democrazia rimane lontano.
pietro.muniSpettatoreCaro Leo
Tutto quanto scrivi qui sopra ruota intorno a due soggetti politici:
1) I partiti (soggetto decisore)
2) I cittadini (soggetto richiedente).
Il ruolo principale è svolto dai partiti (l’organo decisore). I cittadini dovrebbero semplicemente unirsi e, usando gli strumenti propri della DD, agire come lobby sui partiti affinché facciano delle cose che stanno a cuore ai cittadini stessi.
Secondo quanto emerge da certi sondaggi (che tu conosci), in Italia, il 91% dei cittadini non ripone alcuna fiducia nei partiti e tu stesso hai affermato che fai parte di questo gruppo. Non hai fiducia nei partiti, ma poi poni i partiti su un piedistallo e fai del popolo un semplice questuante. Il popolo deve chiede ai partiti di fare delle cose come se lui non fosse capace di farle! Così facendo, ribalti il tuo stesso pensiero: neghi la tua fiducia al popolo per darla ai partiti! E ovviamente neghi anche la stessa democrazia, perché non può esserci democrazia senza fiducia nel popolo.
Per quanto mi riguarda, anch’io faccio parte del 91% dei cittadini non ripone alcuna fiducia nei partiti, ma, diversamente da te, mi astengo dal votare, perché so che ogni voto rafforza i partiti, e ho già predisposto i seguenti due modelli politici in grado di funzionare anche senza partiti.
GOVERNO TECNICO
– Si predispongono delle liste di cittadini provvisti di requisiti di legge e disposti ad assumere cariche politiche.– Da quelle liste si sorteggiano le persone che servono.
GOVERNO POPOLARE
– Si divide il paese in 5000 Comunità Locali Sovrane di 10 mila abitanti cadauna.– La comunità locale sovrana dovrà essere di dimensioni tali da consentire a tutti i propri membri di frequentarsi quotidianamente e di conoscersi bene.
– All’interno della comunità tutti i cittadini adulti avranno diritto di partecipare all’assemblea cittadina, presentare proposte, discutere e votare l’ordine del giorno.
– Sarà diffuso il messaggio che i singoli temi siano votati solo da coloro che ritengano di avere un minimo di competenza e di interesse.
– Tutte le cariche pubbliche saranno assegnate per sorteggio e a tempo da una lista di nomi dotati dei requisiti previsti dalla legge.
– Le comunità si organizzeranno come meglio credono. Potranno decidere di raggrupparsi su base territoriale o sulla base di interessi comuni, o anche di rimanere del tutto indipendenti.
– Se decidono di raggrupparsi, formeranno delle confederazioni a livelli crescenti: provinciale, regionale, nazionale, macroregionale e mondiale.
– Ogni livello avrà un organo deliberativo (un Consiglio), che sarà costituito da un portavoce per comunità.
– Nel Consiglio si delibererà a maggioranza.
– Ogni comunità potrà avere una propria lingua, una propria costituzione, una propria moneta, un proprio calendario, proprie credenze, proprie tradizioni, proprie leggi.
– Nei rapporti fra le comunità varrà il principio di sussidiarietà.
-In tutte le iniziative che richiedono la partecipazione di più comunità, ogni comunità sarà rappresentata da un sorteggiato, che si comporterà come semplice portavoce e non potrà esercitare alcun potere personale.
- Questa risposta è stata modificata 3 anni, 9 mesi fa da pietro.muni.
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pietro.muniSpettatore<h1>Limiti del suffragio</h1>
I sistemi rappresentativi, che si sono andati affermando a partire da due secoli fa, riconoscono il diritto di voto. Lo hanno chiamato «suffragio», mutuando questo termine dalla chiesa, dove era in uso col significato di aiuto, soccorso, preghiera. Analogamente il suffragio indicava la facoltà concessa al cittadino di implorare qualcuno (il rappresentante) affinché si facesse carico di curare i suoi interessi, riconoscendogli così superiori qualità e capacità. È come se l’elettore dicesse al suo candidato: «per favore, ai miei interessi pensaci tu, perché io non ne sono capace». È il tipico atteggiamento del bambino che si rivolge all’adulto o del suddito che si rivolge al sovrano o del fedele al proprio dio per ottenerne un aiuto necessario. In effetti, nel momento in cui appone una crocetta sul nome di un candidato, è come se il cittadino elevasse quel candidato a proprio tutore e interdicesse se stesso, col risultato “di far sì che il popolo stesso presti automaticamente la forza materiale per assicurare il predominio della classe politica dominante sopra sé medesimo” (Rensi 1995: 88-9). In altri termini, nello stesso momento in cui vota, l’elettore rinuncia al suo status di soggetto libero e sovrano, riducendosi a suddito.Il suffragio può essere diretto (il cittadino sceglie direttamente il suo rappresentante) o indiretto (il cittadino sceglie un organismo ristretto che poi procederà all’elezione del rappresentante), uguale (ogni voto vale 1) o plurimo (il voto di alcuni cittadini ha un peso diverso rispetto a quello di altri), ristretto o universale (possono votare solo una parte dei cittadini o tutti), palese o segreto (a seconda che il voto sia dichiarato o meno). Oggi, dopo dure lotte, si è affermato il suffragio nella sua forma universale, uguale e segreta, che è visto da molti come una grande conquista democratica. Siamo convinti che un paese “è democratico se permette ai propri cittadini di scegliersi il governo che vogliono attraverso elezioni periodiche, pluripartitiche ed a scrutinio segreto, in base al suffragio uguale e universale” (Fukuyama 1996: 64).
In realtà, il suffragio universale non si prefigge di conferire potere decisionale al popolo o l’esercizio effettivo della sovranità del cittadino, e tanto meno l’autogoverno popolare, ma “è solo la facoltà concessa ai cittadini di scegliere chi li dovrà governare” (Hirst 1999: 7). “Quando votiamo per eleggere, non decidiamo singole questioni di governo. Il vero potere dell’elettorato è il potere di scegliere chi lo governerà. Dunque, le elezioni non decidono le questioni, ma decidono chi sarà a deciderle” (Sartori 1993: 75). Il suffragio lascia insomma il potere politico saldamente nelle mani dei segretari dei partiti stessi. In esso dobbiamo vedere perciò piuttosto uno pseudo diritto studiato ad arte per far credere al cittadino di essere libero di scegliere, mentre l’unica scelta che gli si consente di fare è a chi dovrà cedere la propria sovranità: è come lasciare al condannato la scelta di che morte morire.
Il suffragio universale deve essere visto come un contentino che le classi dominanti hanno concesso al popolo per distoglierlo dal reclamare il proprio diritto alla partecipazione politica. In effetti, il diritto di voto serve essenzialmente a trasferire il potere sovrano dal popolo ad un’autorità istituzionale (Re, Consiglio, Parlamento, poco importa). È il voto del suddito, che si illude di essere una persona libera sol perché qualcuno gli ha concesso il diritto di scegliere i governanti. Ebbene, questo tipo di voto è “la forma meno attiva di partecipazione politica, in quanto richiede un impegno minimo che cessa una volta che si è votato” (Rush 1994: 126). Le elezioni “rendono superflua la partecipazione dei cittadini durante il periodo tra le consultazioni elettorali, e in tal senso rendono la democrazia partecipata un accessorio del governo rappresentativo” (Urbinati 2013: 91). Il fatto è che senza partecipazione diretta non c’è che oligarchia. “L’elezione produce aristocrazia non democrazia e i partiti ne sono un esempio aggiuntivo, essi stessi forme oligarchiche che servono a produrre consenso più che garantire la partecipazione dei cittadini” (Urbinati 2013: 92).
L’errore dei moderni è di aver lasciato credere che il voto finalizzato a scegliere dei capi (tali sono infatti a tutti gli effetti i rappresentanti) sia sinonimo di democrazia. Qualche tempo fa, chi camminava per le strade di Firenze poteva leggere su un muro la seguente scritta: «Tanto va lo schiavo all’urna, che si sente cittadino». Come a dire: si sente libero, ma rimane suddito. Lo aveva capito bene Rousseau, secondo il quale, “dal momento che un popolo si dà dei rappresentanti, non è più libero; anzi non esiste più” (Contratto sociale III, 15). Per il ginevrino, il voto è un atto di spoliazione, con il quale il cittadino rinuncia ai propri diritti e li cede ad un rappresentante, che andrà a governare in sua vece e a suo piacimento. Un cittadino sarebbe libero solo nel momento in cui elegge i membri del parlamento; dopo ritornerebbe ad essere suddito.
Tratto da P. Muni, Democrazia rappresentativa, 2017, pag. 138-40.
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